La fata della temperanza


Apro gli occhi per la prima volta: tutt’intorno è luce bianca – ne sento il calore – e poi colori di fiori e piume di uccelli, ali di farfalle sgargianti, profumo di nettare e vociare di fate.

Se allungo la mano, le dita accarezzano il vestito di foglie della mia piccola amica.

Con lei le prime corse tra i fili d’erba e i giochi di bimbe che col tempo ho scordato.

Non mi guarda più in viso: le risate si fanno labbra tese, come il bacio rubato al grazioso folletto, per cui le avevo confidato dei miei sospiri.

Vuoi per invidia, vuoi per stupida infatuazione, o per semplice sfida, ma ora una spanna invisibile di silenzio ci separa e io mi sento un po’ più triste e sola.

Li vedo felici – così in lontananza, ormai! – e la tristezza si fa rabbia.

Proseguo il cammino, tra le mie sorelle dei boschi, dove ognuna ha il suo talento: e allora dov’è il mio?

Eppure gli altri lo vedono – ma non io! – e divento inquieta e l’inquietudine si fa agitazione spasmodica.

Non so cosa cerco, ma accolgo tutto ciò che incontro: più è folle e insano, più lo faccio mio.

Mi piace davvero? Forse no, ma è solo nella frenesia che riesco a riconoscere frammenti di me.

E tuttavia, lo nascondo bene ai più: l’ombra che la maschera getta sul mio viso, nessuno la vede e nel mio villaggio godo di un’apprezzabile notorietà.

Capita che ora sia io a rubare baci e opportunità altrui, ma non me ne pento quasi mai.

Gli altri li vedo, ma non li sento e – a dire il vero – non sento nemmeno me.

Stufa di vedere il mondo dietro un vetro, mi fermo: riparto daccapo.

Né i grandi ideali e neppure le azioni smodate, con i loro eccessi, hanno edificato il mio posto nel mondo. Ebbene, ho deciso: saranno le piccole cose a essere celebrate.

Non ciò che è infimo e nemmeno ciò che è eccelso, né troppo in alto, né troppo in basso.

Dei due l’uno e dei due nessuno. Agli estremi, oggi preferisco il centro, nel cui fulcro c’è equilibrio.

Finalmente la quiete.

Tutto si placa, ancor quando fuori tutti s’affannano.

Sento il contatto con la terra, mentre le mie ali si dispiegano verso il cielo.

Sento la luce bianca sulle palpebre, la carezza dei fili d’erba sulla pelle, il profumo dolce del nettare e rivedo il colore dei fiori e delle farfalle variopinte.

Respiro.

Allungo la mano e sento le dita della mia vecchia amica intrecciarsi alle mie.

Improvvisamente, tutte le fate avvertono il nostro vociare.

Le labbra si allargano in ampi sorrisi e, insieme, rievochiamo quei giochi di bimbe tra i boschi, che non avevamo dimenticato.


COLONNA SONORA

Ascolta l’Op. 35 “Scheherazade” di Rimsky Korsakov.